In quei due anni del magistero a Napoli feci un’esperienza, ancora oggi presente, che considero una presa di coscienza per la prima e vera svolta nel mio futuro lavoro di pittore.
Certamente, insieme ad altre componenti, ci fu il dialogo con un artista raffinato e gentile come il pittore Alberto Chiancone, mio insegnante presso il magistero.
Ci salutava dandoci la mano: era una mano grande ed elegante, fasciante e delicata, asciutta e curatissima, come era del resto tutta la sua figura, alta, diritta, serena.
Sempre sbarbato, non usava profumi, aveva già i capelli fortemente brizzolati, come del resto la barba che si evidenziava maggiormente sul labbro superiore tra il naso e la bocca.
In classe amava il dialogo amichevole, diretto, personale: era la sua modernità d’insegnamento; non interveniva mai su nessun elaborato, lasciando all’allievo la possibilità di esprimersi come voleva.
Lui europeista conosceva il mondo dell’arte per il suo vissuto personale e per cultura: era un intellettuale.
Appena l’argomento lo richiedeva ci parlava di Parigi, dove lui aveva soggiornato a lungo.
Noi allievi del magistero avevamo già maturato l’interesse per l’arte contemporanea e il professore si limitava ad integrare le nostre lacune culturali con scambi di informazioni ed esaustivi suggerimenti.
Marotta - cieco di guerra
Alberto Chiancone ogni giorno andava e tornava da scuola lungo lo stesso percorso: l’Istituto d’Arte in Piazzetta Demetrio Salazar.
Faceva due rampe di scale
(nel luogo posteggiava per l’elemosina un tragico relitto umano, cieco e senza braccia, vittima della guerra
appena finita);
arrivava a Piazza del Plebiscito, al solito sempre vuota. A volte si fermava al caffè Gambrinus, passava poco lontano dalla Galleria Mediterranea in via Carlo de Cesare, raggiungendo piazzetta Augusteo per salire al Vomero con l’amata funicolare,
tra i rumori di scambi di binari e i violenti sbuffi degli stantuffi ad aria compressa delle porte scorrevoli.
All’epoca la mia scuola era rigorosa sin dall’ ’ingresso “il porticato di Palizzi“: nella ampia scalinata una colossale copia in gesso di una opera di Michelangelo, forse Cosimo dei Medici.
La sezione pittura era situata all’ultimo piano; alla sala laboratorio si arrivava attraverso ampi corridoi, le cui pareti laterali servivano a noi studenti per le esercitazioni pittoriche.
In quel periodo amavo le composizioni articolate; nei due anni di magistero dipinsi due grandi pareti, la prima figurativa, conoscevo bene la pittura classica greca e romana e quella italiana.
Marotta - particolare dipinto su muro, 57’58
Feci interessanti esperienze di affresco dai contenuti innovativi.
Marotta - affresco 1958 cm. 80x 80
Marotta - Affresco 1958 cm. 80 x100
La seconda parete la dipinsi l’anno successivo; da poco avevo visto la mostra che si era tenuta a Palazzo Reale di Napoli dedicata ad “Osvaldo Licini”: ne rimasi affascinato.
Marotta - dipinto su muro,’58’ - 59
Chiancone apprezzò moltissimo il mio lavoro, sia per l’interpretazione che per la libertà compositiva.
All’epoca vi era un certo fermento innovativo, in quanto venne a dirigere l’istituto d’arte lo scultore vincitore di un premio della biennale di Venezia: “Aldo Calò”.
Alberto Chiancone ci teneva a mostrarci la propria pittura; ricordo che quando ci invitava ad una sua personale alla Mediterranea ci segnalava le opere di maggior pregio dalle altre di repertorio;
oggi penso che ad una certa distanza di tempo tutta l’opera di un autore valido diventi un tutt’uno e ne assuma in sé le migliori qualità.
Gli artisti, si sa, hanno sempre amato le belle donne; negli anni che gli fui allievo si accompagnava ad una professoressa dell’istituto: non ricordo se di lettere o storia dell’arte, la signorina Cilibrizzi.,
bella, giovane, così appariva, allora agli occhi di noi giovanotti.
A sublimare questo amore arrivò il figlio Francesco.
Il professore esternava la sua felicità di neo padre in più occasioni e invitò me e Beppe Desiato a testimoniare la nascita del figlio al Comune: la cosa per me non si realizzò.
Ci perdemmo di vista: io venni a vivere in Sardegna, ad Alghero.
Confesso che, ancora oggi, io Francesco Chiancone non l’ho mai conosciuto di persona. Francesco, innamorato del padre e memore di qualche ricordo che il maestro faceva di me nei suoi racconti,
mi ha regalato una bella amicizia tramite la posta elettronica del vituperato computer.

Autoritratto - Chiancone da giovane
Pur conoscendone l’opera sua posso appena immaginare Chiancone nell’atto del dipingere.
Il suo gesto pittorico è sempre risolutivo e costruttivo. Vi sono diversi autoritratti belli, eseguiti in diverse età, pregni di un silenzio interiore:
credo si ritraesse sempre con indosso uno spolverino da pittore; non credo si sporcasse le mani quando dipingeva, ma quando la necessità lo richiedeva,
Alberto torceva il pennello per lasciare un bianco suggestivo o ridisegnare la struttura incidente di una figura, anche se già definita; un gesto che diventava una svolta diretta senza la mediazione di un racconto tematico.

Chiancone – Sartine

Chiancone – Bagnanti
L’artista è testimone del suo tempo. La pittura di Chiancone ha il dono della lettura immediata,
ma è più difficile carpirne la sua intima natura: sia la poetica della sua luce, che le reconditi atmosfere delle composizioni di scene ambientali del nostro recente passato.
Mi è rimasto molto di questo uomo dignitoso che si dava poco agli altri: sono stato insieme a lui per breve tempo, se si considera un biennio scolastico, eppure ne conservo un ricordo quasi plurisensoriale.
Se penso a quando i miei occhi incontrano quelli di un giovane talento e ricerco in essi lo specchio dell’anima per ritrovarmi in essa, spero che sia stato lo stesso per Alberto Chiancone quando incontrava i miei occhi da ragazzo.
Alghero, 2008
Nicola Marotta, Pittore
Scritti
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