Interviste impossibili

" . . . attraverso l'escamotage letterario dell' intervista impossibile questa rubrica cerca d'instaurare un dialogo che non può che essere paradossale ma che, proprio per la sua vocazione mimetica, consente - in uno scenario immaginifico - di dar voce ad inconsueti colloqui e di realizzare incontri inattesi."
Dolores Ballone, XAOS


1) Joseph Beuys. Aktionen


2) Hieronymus Bosch, Pieter Brueghel, Giambattista Piranesi Artisti o filosofi


3) L'attesa del simulacro. L'Arte. Dieci brevi anni della vita di Mauro Manca


4) Hemmerle. Il vescovo della storia e una sua amicizia atipica


5) Considerazioni sul maestro del surrealismo. Breve dialogo tra il ritratto Montagne e il suo autore Renè Magritte


6) Un ritratto in bronzo dello scultore Gavino Tilocca


7) Lettera a Saul Steimberg



8) Il pittore Alberto Chiancone dal 1957 ’58 al 1958 ’59

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NICOLA MAROTTA, "IL VESCOVO DELLA STORIA E UNA SUA AMICIZIA ATIPICA "

 

N. Marotta, Il Vescovo della storia e una sua amicizia atipica, in "XÁOS. Giornale di confine", Anno II, N.1 Marzo-Giugno 2003, URL: http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_1/7.htm

Trad. in lingua tedesca a cura di Wilfried Hagemann

Der Bischof in der Geschichte und eine untypische Freundschaft mit ihm

von Nicola Matotta. Ich bin nun ein schreckerregender und zugleich furchtsamer Mensch, eigentlich ein "Jedermann", aber zum Glück, habe ich in meinem Leben außerordentliche menschliche Kontakte finden dürfen. Manchmal habe ich sie ganz bewusst miterlebt, andere Male habe ich sie jetzt erst aufgedeckt, indem ich die Erinnerungen meiner Vergangenheit aufarbeitete.

 

 

E' passato tanto tempo da quando, Wilfried Hagemann nella comunità di Stapelfeld salutava l'ingresso in chiesa di un vagabondo comune, incerto nelle vita, come nella fede. Il saluto dell'officiante veniva rivolto ai parrocchiani con naturalezza: li avvisava della mia presenza; quelle brave persone ordinate negli scranni di legno, niente affatto scandalizzati, tutt'assieme, si giravano contemporaneamente a guardarmi; io non ero imbarazzato per incoscienza.
Si era nel 1979 ed era il mio secondo viaggio in Germania: avevo già esposto nel 1977 a Munster per desiderio dell'allora professore di teologia all'università di Bochum, Klaus Hemmerle. Ogni suo desiderio veniva realizzato, come pure una decorazione su una parete di una sala dell'Accademia di Stapelfeld, 1979.
Vi sono persone che hanno il dono del dare; oggi io, parlando del mio amico Klaus non voglio dire che restituisco, in piccola parte, ciò che ricevetti, ma è solo l'eco di ciò che ha dato che ritorna indietro: ciò che ricevetti era così illuminante che ha rischiarato anche il percorso di ritorno, ed è per questo che mi è facile il cammino a rovescio.


Dipinsi in questa sala una parete di diversi metri quadri sul tema de "L'Incontro".

Ancora oggi, a distanza di 24 anni, apprezzo particolarmente una parte di questo dipinto, ispirato ad una leggenda cristiana che la tradizione vuole che il pellicano sfami i propri piccoli col sangue del proprio petto lacerato a colpi di becco, ma nel mio, il pellicano, è impossibilitato a covare le proprie uova, perché queste sono ibernate e sigillate in un cubo trasparente, che ne impedisce il contatto.
Questa versione tragica raccoglieva, da parte mia, le proteste degli ambientalisti ed ecologisti di allora e di sempre.
E poi, appena sotto la colonna da me dipinta, un gigantesco termosifone nero turbava la composizione, sotto gli occhi divertiti della suora gotica.
Sono un terribile e temibile uomo qualunque, ma, per fortuna, nella mia vita ho avuto contatti umani straordinari; a volte li ho vissuti coscienti, altre volte li ho riscoperti elaborando i ricordi del mio passato.
Fra l'altro, anche quando mi ero reso conto che certi incontri erano particolarmente importanti sono letteralmente scemato, senza essere all'altezza del momento: nei riguardi di Klaus è stato, per buona parte, così. Rievocare i ricordi si ha l'impressione che sia un materiale che si autoaggiorna, così come accade tra la somiglianza e la similitudine.
Una volta parlai agli amici tedeschi, Klaus, Wilfried e Hans Peter di un mio grande amore per il pittore Matthias Grünewald (a sinistra: Matthias Grünewald, Crocefissione -Particolare); non passò molto che feci un viaggio lungo l'itinerario delle opere più conosciute di questo grande artista del '500, e, tra le grandi sorprese, nel breve tempo di una mattinata e un pomeriggio, visitammo tre musei di tre città, Freiburg - Basilea - Colmar. A itinerario concluso, avevamo toccato i vertici di un triangolo equilatero di tre stati diversi.
Non devo dimenticare che mentre Klaus suggeriva un suo desiderio, Wilfried era il vero ideatore e interprete, colui che rendeva attuabile il progetto che mi vedeva al centro, protagonista di un viaggio o di una mostra.
Sono proprio Wilfried Hagemann e Wolfang Bader gli autori di una toccante biografia su Klaus Hemmerle "un vescovo secondo il cuore di Dio" (W. Bader, W. Hagemann, Klaus Hemmerle. Un vescovo secondo il cuore di Dio, Città Nuova 2001)
La pittura è come gli scenari dei teatri; tutti sappiamo che sono artefatti, ma quando gli attori cominciano a recitare, il palcoscenico diventa vita vera e convincente.
Così è per l'arte: c'è l'impatto, poi se hai visto molta pittura scattano i parametri di valutazione, i tuoi innamoramenti passionali o cerebrali, o entrambi.
La presenza di Klaus ad Alghero era già consolidata da anni; una volta nel mostrarmi i suoi acquerelli, pensando di motivare culturalmente la sua passione per la pittura, gli dissi che aveva un che di moderno e che mi ricordavano cose riconducibili a Klee.
Mi rispose con alcuni riferimenti che attestavano la sua conoscenza dell'artista svizzero. Con gli anni questi riferimenti stilistici, come la pittura del periodo africano, divennero più presenti. Ma, per mia quiete d'animo, mi convinsi che era solo un'adesione, una curiosità culturale, un provare a vedere con occhi nuovi la luce e i colori solari di Alghero.

lllll
(1. K. Hemmerle, Alghero dentro le Mura ffffffffff2. K. Hemmerle, Alghero. Golfo di Porto Conte)

Quella sua pittura che vediamo oggi, credo sia poca cosa, rispetto a ciò che appariva ai suoi occhi, in fase esecutiva; se non lo appagava come artista, certamente lo gratificava come appassionato cultore, donandogli certamente gioia.
Qui intendo lo spazio di tempo esecutivo in tutta la sua componente emozionale dell'operazione del dipingere. In questo stadio creativo la pittura che noi eseguiamo risulta come vista sotto un filtro, come una apparizione ideale; il pittore ottimizza l'immagine rimuovendone le imperfezioni e le incertezze; riluce il tutto man mano poi che si prosegue nella sua definizione.
Klaus, forse, dipingeva solo per questi momenti; il resto, (di ciò che resta), non gli importava.

Caro klaus, vorrei farti qualche domanda.

D. Klaus com'era per te vivere con un padre pittore?
R. Hai detto bene pittore e non artista; artista è una cosa da libri, penso a Vermeer : visse poco, dipinse per un gruppo di commercianti e qualche appassionato d'arte. Lui ha fatto il pittore, la storia lo decretò artista.
D. Klaus perché hai sentito il desiderio di dipingere?
R. Perché misteriose forze ereditarie, da semi crebbero come piante occupando piacevolmente i miei spazi interiori. Quando vivevo con mio padre pittore, non presi mai i colori e pennelli, e poi papà era sempre fuori casa per lavoro, però prendevo lezione di pianoforte da uno zio musicista. Ho preso a dipingere dopo la morte di papà, mi ritrovavo nelle sue meditazioni, nei suoi gesti, senza averli mai cercati: a volte, mi sentivo lui, lo accettavo. Ecco perché dipingevo, per stare insieme a lui solo come l'amore può fare. Era come se gli dicessi: padre come farò a ritrovare la strada che ci ha divisi?
Era un uomo che amava la vita, la famiglia, la libertà: dovette affrontare difficoltà di una guerra non sua; viveva in un momento sbagliato nella seconda guerra mondiale: era un pacifista.
D. Klaus, io credo di saper leggere di te solo le cose che riguardano la pittura, mentre il tuo universo si espande in Cristo. Sei stato sacerdote, teologo, professore universitario, focolarino, scrittore e vescovo. Che cosa è valso di più, se così si può dire?


R. Quanto era bella Freiburg! I moti della vita sono tanti: ognuno sa amare per le cose a cui è portato. Freiburg, è il monumento di se stesso: Ho portato con me quella immagine di città tersa, da miniatura medievale: i suoi palazzi sembrano dipinti da bambini, come nelle favole. Come pure la genialità tecnica e costruttiva della cattedrale: è un sogno lungo quanto l'uomo. Freiburg!
(A sinistra: Freiburg. 1. Il Duomo, 2. Scorcio della Città)

D. Klaus, penso alla tua vita straordinaria.
R. Macchè, solamente accorgersi di vivere è straordinario.
D. Klaus, questa terribile cosa della vita che è la morte.
R. Già !.. Potrei dirti tante cose, ma sei tu che scrivi!

Klaus, mi ha voluto bene, un bene come di riflesso; mi vedeva, forse vagamente in un suo specchio, in cui io prendevo le sembianze del padre pittore.
Questa mia congettura mi piace, perché mi fa riflettere sul fatto che, se è vera, vorrebbe dire che esisterebbe una tipologia professionale, come dire, fabbro, falegname, pittore; potendo leggere tutto questo dal di fuori sarebbe come vedere dei rituali di comportamento tra persone di uno stesso lavoro, e per ciò sarebbero simili i modi di fare. E sarebbe questa la similitudine che Klaus forse vedeva in me, e che gli piaceva tanto.
Attingere ai propri ricordi per raccontarli è sempre stato un arbitrio sulla fedeltà delle testimonianze. Accade che una chiave ti consente l'ingresso in un non luogo, dove si formano i pensieri, dove si accendono le idee, dove si illuminano le intuizioni; un posto in cui oggi si sa poco o niente.
L'uomo si è costruito nella sua evoluzione una mappa genetica, e, oggi, non siamo in grado di vederne le future proiezioni; questa vita che è memoria capace di evocare se stessa, fermando il tempo, come successione di eventi, ha la capacità di migliorare il proprio futuro. Mi piacerebbe che la morte non fosse diversa dalla vita e che avesse le stesse evoluzioni e che la sua memoria potesse evocare se stessa, per raccogliere dati e vederne gli sviluppi e lo stadio in cui ci si trova, come accade per la vita. Un percorso parallelo, per sapere di più sulle distanze che ci separano.
Si dice che chi ha fede sa già.
Klaus Hemmerle è un volto che abbiamo visto per tanti anni per Alghero e dintorni, insieme a due o tre amici, a ridosso della primavera da circa trent'anni. Il grande Wilfried Hagemann, e, per ultimo, si era unito Peter Klasvogt, ritornavano ogni anno per sentire gli stessi umori inalterati nei secoli delle terre , ancor prima dei Nuragici, dei Fenicio- Punici e dei Romani. Quando passeggiano tra loro e ti trovi nei pressi, a sentirli parlare sembrano una nazione. Klaus era vescovo di Aquisgrana, morì il 23 gennaio 1994 le sue spoglie riposano dietro un marmo inciso con i suoi dati anagrafici e il suo titolo; ti si stringe il cuore saperlo riposto: ma mi si riaprì quando io e mio figlio Felice insieme, visitando lo storico Duomo ( quello di Carlo Magno), in questo stesso onorammo le sue spoglie.


Alghero, Febbraio 2003

Nicola Marotta, pittore


Klause Hemmerle
"Vorrei che ognuno di noi avesse quattro chiavi. Una chiave per la porta che dà sul retro: il Signore viene, dove e come non lo sappiamo. Viene in coloro che non hanno il coraggio di accostarsi alla grande porta maestra. Una chiave per la porta che dà verso l'interno: il Signore ci è più intimo del più profondo dell'anima nostra. Da lì egli entra nella casa della nostra vita.
Una chiave per la porta di comunicazione che è stata murata, ricoperta con l'intonaco, quella che dà su ciò che ci sta accanto: in coloro che ci sono più prossimi, che sono anche coloro che più ci sono estranei, il Signore bussa alla nostra porta. Una chiave per la porta principale, il portale: su quella soglia Gesù, con Maria e Giuseppe furono respinti. Non esitiamo a lasciarLo entrare nella nostra casa, nella nostra vita, nel nostro mondo! Sapremo essere, oggi, la sua Betlemme?"

Klaus Hemmerle (1929 - 1994), Vescovo Aquisgrana




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