E' passato
tanto tempo da quando, Wilfried Hagemann nella comunità di
Stapelfeld salutava l'ingresso in chiesa di un vagabondo
comune, incerto nelle vita, come nella fede. Il saluto
dell'officiante veniva rivolto ai parrocchiani con
naturalezza: li avvisava della mia presenza; quelle brave
persone ordinate negli scranni di legno, niente affatto
scandalizzati, tutt'assieme, si giravano contemporaneamente a
guardarmi; io non ero imbarazzato per incoscienza. Si era
nel 1979 ed era il mio secondo viaggio in Germania: avevo già
esposto nel 1977 a Munster per desiderio dell'allora
professore di teologia all'università di Bochum, Klaus
Hemmerle. Ogni suo desiderio veniva realizzato, come pure una
decorazione su una parete di una sala dell'Accademia di
Stapelfeld, 1979. Vi sono persone che hanno il dono del
dare; oggi io, parlando del mio amico Klaus non voglio dire
che restituisco, in piccola parte, ciò che ricevetti, ma è
solo l'eco di ciò che ha dato che ritorna indietro: ciò che
ricevetti era così illuminante che ha rischiarato anche il
percorso di ritorno, ed è per questo che mi è facile il
cammino a rovescio.
Dipinsi in questa sala una parete di diversi
metri quadri sul tema de "L'Incontro".
Ancora oggi, a distanza di 24 anni, apprezzo
particolarmente una parte di questo dipinto, ispirato ad una
leggenda cristiana che la tradizione vuole che il pellicano
sfami i propri piccoli col sangue del proprio petto lacerato a
colpi di becco, ma nel mio, il pellicano, è impossibilitato a
covare le proprie uova, perché queste sono ibernate e
sigillate in un cubo trasparente, che ne impedisce il
contatto. Questa versione tragica raccoglieva, da parte
mia, le proteste degli ambientalisti ed ecologisti di allora e
di sempre. E poi, appena sotto la colonna da me dipinta,
un gigantesco termosifone nero turbava la composizione, sotto
gli occhi divertiti della suora gotica. Sono un terribile e
temibile uomo qualunque, ma, per fortuna, nella mia vita ho
avuto contatti umani straordinari; a volte li ho vissuti
coscienti, altre volte li ho riscoperti elaborando i ricordi
del mio passato. Fra l'altro, anche quando mi ero reso
conto che certi incontri erano particolarmente importanti sono
letteralmente scemato, senza essere all'altezza del momento:
nei riguardi di Klaus è stato, per buona parte, così.
Rievocare i ricordi si ha l'impressione che sia un materiale
che si autoaggiorna, così come accade tra la somiglianza e la
similitudine. Una volta parlai agli amici tedeschi, Klaus, Wilfried
e Hans Peter di un mio grande amore per il pittore Matthias
Grünewald (a sinistra: Matthias Grünewald, Crocefissione
-Particolare); non passò molto che feci un viaggio lungo
l'itinerario delle opere più conosciute di questo grande
artista del '500, e, tra le grandi sorprese, nel breve tempo
di una mattinata e un pomeriggio, visitammo tre musei di tre
città, Freiburg - Basilea - Colmar. A itinerario concluso,
avevamo toccato i vertici di un triangolo equilatero di tre
stati diversi. Non devo dimenticare che mentre Klaus
suggeriva un suo desiderio, Wilfried era il vero ideatore e
interprete, colui che rendeva attuabile il progetto che mi
vedeva al centro, protagonista di un viaggio o di una
mostra. Sono proprio Wilfried Hagemann e Wolfang Bader gli
autori di una toccante biografia su Klaus Hemmerle "un vescovo
secondo il cuore di Dio" (W. Bader, W.
Hagemann, Klaus Hemmerle. Un vescovo secondo il cuore di Dio,
Città Nuova 2001) La pittura è come gli scenari dei
teatri; tutti sappiamo che sono artefatti, ma quando gli
attori cominciano a recitare, il palcoscenico diventa vita
vera e convincente. Così è per l'arte: c'è l'impatto, poi
se hai visto molta pittura scattano i parametri di
valutazione, i tuoi innamoramenti passionali o cerebrali, o
entrambi. La presenza di Klaus ad Alghero era già
consolidata da anni; una volta nel mostrarmi i suoi
acquerelli, pensando di motivare culturalmente la sua passione
per la pittura, gli dissi che aveva un che di moderno e che mi
ricordavano cose riconducibili a Klee. Mi rispose con
alcuni riferimenti che attestavano la sua conoscenza
dell'artista svizzero. Con gli anni questi riferimenti
stilistici, come la pittura del periodo africano, divennero
più presenti. Ma, per mia quiete d'animo, mi convinsi che era
solo un'adesione, una curiosità culturale, un provare a vedere
con occhi nuovi la luce e i colori solari di Alghero.
lllll (1. K.
Hemmerle, Alghero dentro le Mura ffffffffff2. K. Hemmerle, Alghero.
Golfo di Porto Conte)
Quella sua pittura che vediamo
oggi, credo sia poca cosa, rispetto a ciò che appariva ai suoi
occhi, in fase esecutiva; se non lo appagava come artista,
certamente lo gratificava come appassionato cultore,
donandogli certamente gioia. Qui intendo lo spazio di tempo
esecutivo in tutta la sua componente emozionale
dell'operazione del dipingere. In questo stadio creativo la
pittura che noi eseguiamo risulta come vista sotto un filtro,
come una apparizione ideale; il pittore ottimizza l'immagine
rimuovendone le imperfezioni e le incertezze; riluce il tutto
man mano poi che si prosegue nella sua definizione. Klaus,
forse, dipingeva solo per questi momenti; il resto, (di ciò
che resta), non gli importava.
Caro klaus, vorrei farti
qualche domanda.
D. Klaus com'era per te
vivere con un padre pittore? R. Hai detto bene
pittore e non artista; artista è una cosa da libri, penso a
Vermeer : visse poco, dipinse per un gruppo di commercianti e
qualche appassionato d'arte. Lui ha fatto il pittore, la
storia lo decretò artista. D. Klaus perché hai
sentito il desiderio di dipingere? R. Perché
misteriose forze ereditarie, da semi crebbero come piante
occupando piacevolmente i miei spazi interiori. Quando vivevo
con mio padre pittore, non presi mai i colori e pennelli, e
poi papà era sempre fuori casa per lavoro, però prendevo
lezione di pianoforte da uno zio musicista. Ho preso a
dipingere dopo la morte di papà, mi ritrovavo nelle sue
meditazioni, nei suoi gesti, senza averli mai cercati: a
volte, mi sentivo lui, lo accettavo. Ecco perché dipingevo,
per stare insieme a lui solo come l'amore può fare. Era come
se gli dicessi: padre come farò a ritrovare la strada che ci
ha divisi? Era un uomo che amava la vita, la famiglia, la
libertà: dovette affrontare difficoltà di una guerra non sua;
viveva in un momento sbagliato nella seconda guerra mondiale:
era un pacifista. D. Klaus, io credo di saper
leggere di te solo le cose che riguardano la pittura, mentre
il tuo universo si espande in Cristo. Sei stato sacerdote,
teologo, professore universitario, focolarino, scrittore e
vescovo. Che cosa è valso di più, se così si può dire?
R.
Quanto era bella Freiburg! I moti della vita sono tanti:
ognuno sa amare per le cose a cui è portato. Freiburg, è il
monumento di se stesso: Ho portato con me quella immagine di
città tersa, da miniatura medievale: i suoi palazzi sembrano
dipinti da bambini, come nelle favole. Come pure la genialità
tecnica e costruttiva della cattedrale: è un sogno lungo
quanto l'uomo. Freiburg! (A sinistra:
Freiburg. 1. Il Duomo, 2. Scorcio della Città)
D. Klaus, penso alla tua
vita straordinaria. R. Macchè, solamente accorgersi
di vivere è straordinario. D. Klaus, questa
terribile cosa della vita che è la morte. R. Già !..
Potrei dirti tante cose, ma sei tu che scrivi!
Klaus, mi ha voluto bene, un
bene come di riflesso; mi vedeva, forse vagamente in un suo
specchio, in cui io prendevo le sembianze del padre
pittore. Questa mia congettura mi piace, perché mi fa
riflettere sul fatto che, se è vera, vorrebbe dire che
esisterebbe una tipologia professionale, come dire, fabbro,
falegname, pittore; potendo leggere tutto questo dal di fuori
sarebbe come vedere dei rituali di comportamento tra persone
di uno stesso lavoro, e per ciò sarebbero simili i modi di
fare. E sarebbe questa la similitudine che Klaus forse vedeva
in me, e che gli piaceva tanto. Attingere ai propri ricordi
per raccontarli è sempre stato un arbitrio sulla fedeltà delle
testimonianze. Accade che una chiave ti consente l'ingresso in
un non luogo, dove si formano i pensieri, dove si accendono le
idee, dove si illuminano le intuizioni; un posto in cui oggi
si sa poco o niente. L'uomo si è costruito nella sua
evoluzione una mappa genetica, e, oggi, non siamo in grado di
vederne le future proiezioni; questa vita che è memoria capace
di evocare se stessa, fermando il tempo, come successione di
eventi, ha la capacità di migliorare il proprio futuro. Mi
piacerebbe che la morte non fosse diversa dalla vita e che
avesse le stesse evoluzioni e che la sua memoria potesse
evocare se stessa, per raccogliere dati e vederne gli sviluppi
e lo stadio in cui ci si trova, come accade per la vita. Un
percorso parallelo, per sapere di più sulle distanze che ci
separano. Si dice che chi ha fede sa già. Klaus Hemmerle
è un volto che abbiamo visto per tanti anni per Alghero e
dintorni, insieme a due o tre amici, a ridosso della primavera
da circa trent'anni. Il grande Wilfried Hagemann, e, per
ultimo, si era unito Peter Klasvogt, ritornavano ogni anno per
sentire gli stessi umori inalterati nei secoli delle terre ,
ancor prima dei Nuragici, dei Fenicio- Punici e dei Romani.
Quando passeggiano tra loro e ti trovi nei pressi, a sentirli
parlare sembrano una nazione. Klaus era vescovo di Aquisgrana,
morì il 23 gennaio 1994 le sue spoglie riposano dietro un
marmo inciso con i suoi dati anagrafici e il suo titolo; ti si
stringe il cuore saperlo riposto: ma mi si riaprì quando io e
mio figlio Felice insieme, visitando lo storico Duomo ( quello
di Carlo Magno), in questo stesso onorammo le sue spoglie.
Alghero, Febbraio 2003
Nicola Marotta, pittore
Klause Hemmerle "Vorrei che ognuno di noi avesse quattro chiavi.
Una chiave per la porta che dà sul retro: il Signore viene,
dove e come non lo sappiamo. Viene in coloro che non hanno il
coraggio di accostarsi alla grande porta maestra. Una chiave
per la porta che dà verso l'interno: il Signore ci è più
intimo del più profondo dell'anima nostra. Da lì egli entra
nella casa della nostra vita. Una chiave per la porta di
comunicazione che è stata murata, ricoperta con l'intonaco,
quella che dà su ciò che ci sta accanto: in coloro che ci sono
più prossimi, che sono anche coloro che più ci sono estranei,
il Signore bussa alla nostra porta. Una chiave per la porta
principale, il portale: su quella soglia Gesù, con Maria e
Giuseppe furono respinti. Non esitiamo a lasciarLo entrare
nella nostra casa, nella nostra vita, nel nostro mondo!
Sapremo essere, oggi, la sua Betlemme?"
Klaus Hemmerle (1929 -
1994), Vescovo
Aquisgrana
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